Padre Giovanni Battista Damioli, parroco di S.Sebastiano ha recentemente festeggiato il cinquantesimo anniversario della sua ordinazione sacerdotale. Un traguardo importante, per cui i suoi parrocchiani hanno voluto far festa per dimostrargli tutto il loro affetto e a la loro stima. Grazie all’aiuto di una sua parrocchiana, noi de “La Settimana” lo abbiamo intervistato per farci raccontare questi cinquanta anni di vita a servizio del Signore.

Allora Padre… il 18 dicembre ha festeggiato cinquanta anni di vita sacerdotale. Ci dica tre aggettivi per definire questi anni.
“E’ difficile riassumere cinquanta anni in tre parole. Direi belli, interessanti e dolorosi per certe prove che ho dovuto superare”

Come è nata la sua vocazione?
“La mia vocazione è nata in modo molto semplice. Un giorno, da ragazzo, ero nella canonica del parroco di un paesino della Val Camonica, di cui sono originario. Là c’era un seminarista che stava suonando l’armonio, ad un certo punto si girò verso di me, mi guardo e mi disse: “Tu ti faresti sacerdote”? Io rimasi stupito da questa domanda e senza un perché gli dissi di si. Questo è solo un aneddoto, ovviamente la mia scelta di diventare sacerdote è stata frutto di un cammino di discernimento”.

Lei appartiene all’ordine dei Barnabiti…perché ha scelto questo ordine religioso?
“Per una serie di circostanze. Frequentavo il seminario di Brescia, ma ad un certo momento, a causa di una malattia e per altre ragioni dovetti lasciare. Il mio parroco mi disse di provare dai Sacramentini. Mi recai da loro e mi sottoposero ad un colloquio. Mi chiesero anche delle cose inerenti l’italiano e il latino, di cui non brillavo in bravura ( a causa anche della mia malattia che mi impedì di frequentare per qualche tempo la scuola). Allora mio padre si ricordò di un padre barnabita che durante l’estate mi dava lezioni di italiano e latino e mi disse: “Perché non andiamo a Milano dai Barnabiti”? Là il Provinciale mi disse che non ci sarebbero stati problemi. Bastava andare a Cremona, avrebbe pensato lui a parlare con il rettore”.

E poi... come è continuato il suo periodo di formazione?

“Dopo Cremona, sono stato a Lodi e Roma per gli studi di teologia. Nel 1965 fui ordinato nella cappella del nostro seminario di Roma da un vescovo barnabita missionario:  Eliseo Coroli, di cui recentemente è stato aperto un processo di canonizzazione. Mi ricordo che qualche giorno dopo l’ordinazione io ed altri miei confratelli fummo ricevuti da Papa Paolo VI. Rammento che mi fece tante domande incuriosito dal fatto che eravamo entrambi della provincia di Brescia”.

Prima di giungere a Livorno dove è stato?
“Dopo l’ordinazione chiesi di poter partire per una missione. Così mi mandarono in Congo.
Non dimenticherò mai quel esperienza in Africa. Là ne successero di tutte. Mentre giocavo a pallavolo con dei ragazzi, mi ruppi il femore. Fortunatamente un medico tedesco mi curò e riuscì a rimettermi in piedi. A quel tempo in Congo c’era la guerra ed io e altri sacerdoti fummo arrestati da alcuni soldati congolesi. Dopo la liberazione continuammo il viaggio in Ruanda. Grazie a l’incontro con il Nunzio Apostolico riuscimmo a prendere un aereo per Roma e così ritornai in Italia. Al ritorno fui mandato a Lodi ad insegnare religione, poi sono stato vice rettore del Seminario a Cavareno, che sotto la mia direzione divenne scuola parificata e a Roma. L’esperienza dell’insegnamento è stata molto importante perché mi ha insegnato
Dal 1977 sono qui a Livorno e da allora non sono più andato via. La maggior parte del mio servizio di sacerdote l’ho svolto in questa parrocchia. Devo dire che c’è stata subito una grande intesa con i miei parrocchiani. Grazie a Monsignor Ablondi, con cui avevo un buon rapporto di stima reciproca cominciarono i miei impegni a livello diocesano. Per molti anni ho insegnato etica morale alla scuola professionale degli infermieri, quando non era ancora un corso universitario. All’interno della mia congregazione ho ricoperto per ben sei anni  la carica di Provinciale”.

Quindi sono 29 anni che è a S.Sebastiano. Come è cambiata la sua parrocchia in questi anni?
Dal punto di vista territoriale si è ingrandita. Intorno agli anni 2000 ha inglobato i territori appartenenti al duomo e della chiesa di S.Giovanni. Quando arrivai qui c’era un bel gruppo giovani e un numeroso gruppo dell’apostolato della preghiera che purtroppo ora scarseggiano. E’ nato però negli anni il gruppo del rinnovamento nello Spirito, la comunità dei Filippini e un buon gruppetto di famiglie che una volta al mese si incontrano per una cena comunitaria (la famosa pizzata) seguita da un mio momento di riflessione. Una volta al mese questo gruppo organizza un’adorazione eucaristica, una bella iniziativa di cui sono molto contento. In questi quasi trent’anni ho avuto la possibilità di veder crescere, sposare e metter su famiglia i giovani di un tempo. Alcuni frequentano tutt’ora la parrocchia con la loro famiglia. Uno di loro mi ha dedicato un commovente discorso per il mio cinquantesimo.
Ho la fortuna di avere anche un buon gruppo di catechisti e animatori che si danno molto da fare con impegno e fantasia con i bambini del catechismo. In questi ultimi anni è cresciuto il numero di persone che si rivolgono alla nostra Caritas che con fatica, grazie anche alla generosità delle famiglie del catechismo (che donano generi alimentari) confeziona pacchi per i bisognosi. Sarei molto felice di riuscire a intitolare ad Olimpia Sgherri la nostra Caritas parrocchiale”.

A proposito di Olimpia Sgherri. Che testimonianza le ha lasciato questa donna?
“Olimpia era una persona di fede e di carità. Era sempre pronta ad aiutare la gente. Anche nelle situazioni di emergenza, non solo di povertà. Spesso mi chiamava per andare al capezzale di persone in fin di vita. Era una donna forte, risoluta, ma mai aggressiva”.

Lei ricopre vari incarichi in diocesi, tra cui quello di padre spirituale del seminario. Ci parli di questo suo servizio.
“Ho iniziato a collaborare con il Seminario quando c’era don Andrea Brutto come rettore. Di tanto in tanto mi chiedevano di tenere delle conferenza di carattere ascetico. E’ stato poi Monsignor Giusti a volermi nell’equipe formativa del seminario come padre spirituale. Un compito impegnativo, perché ho un ruolo importante nel cammino di preparazione e discernimento di questi ragazzi. Ogni giovedì mattina mi reco in Seminario, prego  e celebro la Messa con i ragazzi, faccio colazione con loro, tengo delle conferenze e poi mi dedico ai colloqui personali”.

Alla luce di questa sua importante tappa nel suo cammino sacerdotale cosa cerca di trasmetterli ai seminaristi?
“Cerco di far loro capire che il sacerdozio è un servizio, che bisogna dare il buon esempio e soprattutto bisogna riempirsi di Gesù con la preghiera”

Lei è molto amato dalla gente per la sua profondità spirituale. E’ sempre disponibile per preghiere, colloqui, confessioni…
“Si, ma tutto ciò che faccio o dico viene dall’ alto. E’ a Lui che devo tutto”.

TRATTO DA "La settimana tutti i giorni"...

 

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